Si fa presto a dire CINA e a decantare le opportunità e i rischi di una relazione strategica con il più grande paese e mercato mondiale, tema da giorni ormai al centro del dibattito sui media in concomitanza con la visita del premier Xi Jinping in Italia. Ma non può che far riflettere il dato oggettivo che nessun partito escluso, nella passata legislatura e all’inizio di questa, ha di fatto completamente ignorato i temi chiave dell’ascesa cinese dibattuti in mezzo mondo, come la stessa Belt and Road o la competizione hi-tech sul 5G, riducendo tutto a un problema di difesa del made in Italy.
E’ quanto si evince da un’interessante Analisi realizzata da FBlab, il centro studi della società di lobbying FB & Associati, raccogliendo tutti gli atti di “sindacato ispettivo” del Parlamento riferiti alla Repubblica Popolare, cioè interrogazioni, mozioni e ordini del giorno, presentati tra marzo 2013 e il gennaio di quest’anno. Si scopre così che la grande maggioranza dei provvedimenti riguarda due temi: da una parte l’agroalimentare, in particolare le sofisticazioni legate a miele e pomodoro, dall’altro impese e commerci, con un’attenzione particolare per lo shopping cinese di aziende italiane e per l’attribuzione a Pechino dello status di economia di mercato.
E’ mancata insomma una consapevolezza anche minima e una riflessione circostanziata delle opportunità che potrebbero invece derivare per l’Italia – in presenza di un chiaro indirizzo per lo sviluppo del Paese – da una migliore sinergia economica con la Cina. Due soli atti, in più di sei anni e mezzo di attività parlamentare, sono dedicati a Made in China 2025: un dato che più di ogni altro rende bene i termini del mancato allineamento dell’agenda Italia a quella mondiale. Ma non è mai troppo tardi, o almeno ce lo possiamo augurare.